venerdì 30 settembre 2016

NBA Preview: dietro la scelta di Harden come point-guard di Houston


Fa un certo effetto sentir definire James Harden il nuovo point-guard degli Houston Rockets. Come ha detto Mike D'Antoni forse sarebbe più opportuno definirlo "points guard" con la s nel senso che segnerà molti punti. Ovviamente la definizione del ruolo è relativa. Harden non sarà mai, né gli chiederanno di esserlo, John Stockton o Rajon Rondo. Harden sarà ovviamente una scoring-guard e d'altra parte ha portato palla e gestito il possesso spesso anche in passato inclusa l'ultima stagione.

La differenza è che la palla gliela daranno fin dall'inizio del possesso e probabilmente a tempo pieno. Lo forzeranno a pensare di più ai compagni. Tecnicamente l'idea è spingerlo a creare subito un vantaggio che possa tradurre in opportunità per sé stesso e i compagni contro la difesa schierata. Non dimentichiamo mai che l'obiettivo dei Rockets sarà comunque quello di giocare ad un numero di possessi altissimo e attacare prima che la difesa si schieri. Quindi non è che Harden dovrà chiamare tantissimi giochi. Lo scopo è dargli la palla e correre. Più lui ha la palla e più lo fermeranno con i falli. Harden aveva 10.2 tiri liberi di media l'anno passato. Magari ne avrà di più nella nuova stagione. Interpreterà il ruolo alla Allen Iverson. Ammesso che non fosse già così.
Harden è reduce da una stagione considerata ampiamente negativa in cui tuttavia ha stabilito i suoi record carriera di punti (29.0), rimbalzi (6.1) e assist. I suoi 7.5 assist per gara rappresentano il quarto anno consecutivo in cui ha migliorato la sua media. È chiaro che D'Antoni abbia identificato nell'esaltazione del talento di Harden il primo obiettivo della sua gestione. Se riuscirà a giocare con il passo più alto della Lega le cifre di Harden esploderanno ancora soprattutto scaricando su un tiratore come Ryan Anderson. Lo scorso anno stava in campo quasi 38 minuti a partita. D'Antoni non è mai stato noto come un coach che riposa le star. Quindi fate due conti.
La definizione di point-man è più nominale, un giochetto psicologico che una scelta tattica. Al limite servirà per utilizzarlo più spesso in combinazione con una guardia potente come Eric Gordon piuttosto che con un altro piccolo come Patrick Beverley. D'Antoni si aspetta che Harden venga comunque marcato da un point-man altrimenti la sua superiorità fisica sarà schiacciante. Ma con Gordon accanto un mismatch sarà automatico.
Le chiavi saranno due: quanto Harden con la palla sempre in mano resisterà alla tentazione di attaccare sempre e quanto la difesa di Houston sosterrà l'attacco. Inclusa quella di Harden che sarà esposto anche lui su un point-man velocissimo e piccolo se non avrà accanto il Beverley di turno. I Rockets storicamente hanno dato poco peso alla presunta indifferenza difensiva di Harden citando le cifre. Sono un'organizzazione che valuta tutto con il supporto della tecnologia. Lo scorso anno i Rockets difendevano meglio con Harden in campo e su 100 possessi con lui l'attacco produceva 115 punti e la difesa ne concedeva 108. Ma qualche volta Harden è stato pescato davvero a guardare l'avversario. Gli scout vecchio stampo che si fidano dell'occhio e non dei numeri lo considerano un problema. La verità probabilmente è a metà strada. L'arrivo del guru difensivo Jeff Bzdelik è un segnale.
Nel parlare di Harden bisogna ovviamente sempre considerare il minutaggio e l'ampia libertà di movimento. Lo scorso anno aveva 19.7 tiri a partita dal campo. Poche squadre si sono affidate ad un singolo come lui. Il rischio è che senza Dwight Howard e con giocatori da catch and shoot accanto la tendenza possa addirittura accentuarsi.

APPENDICE
A proposito di James Harden è curioso ricostruire come sia cambiata la sua vita passando dal ruolo di terzo uomo dei Big Three di Oklahoma City a prima opIone opzione di Houston. In tre anni ai Thunder è partito in quintetto un totale di sette volte. A Houston non è mai partito dalla panchina. Nel suo ultimo anno ai Thunder pur giocando circa 31 minuti di media tirava circa 10 volte di media ovvero la metà di quanto tiri adesso a Houston. Cosa vuol dire? Che se fosse rimasto forse OKC avrebbe avuto la più incredibile batteria di prime punte della storia ma anche che il suo ruolo non era oggettivamente compatibile con il suo talento.

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